14.2.03

Sveglia.
Stai dondolando su un ciliegio e sei ancora vergine di lutti. Ancora nessuno ti ha chiesto di fare un filtro con un biglietto del C83, ancora non gli hai risposto: va bene lo stesso uno scontrino della Standa, ancora non hai scelto la marca di rossetto che non lascia tracce segnaletiche. Non hai mai provato a metterti due dita in gola né hai desiderato individuare il lemma “Falloppio” nel Devoto Oli.
Ti concedi inoltre quegli splendidi gameti ovoidali lindt a pacchi chiusi da 60, che a una certa età ti disossano i fianchi e compilano la tua zona gag.
Ma tu sei su un ciliegio, piena di ormoni della crescita e di ciocorì, bionica.
Ed è in quel momento che un’ingiustizia interrompe la tua pubertà.
E cominci ad avvertire orizzonti logori, sodoma e gomorra, la cacciata del paradiso.
Però hai solo quattordici anni e tutto quello che hai fatto per meritartelo, è dormire. E nell’eventualità di un percorso karmico ti accorgi che forse puoi aver dormito fino a quel febbraio vigliacco, risvegliandoti a primavera come le primule curve che cercano il sole di notte e si chiedono e chi cazzo l’ha rimosso. Il Signore dell’inferno, ovviamente. E cominci a chiederti come fare per comunicarGli un ciclostile, contemplando la tua prima costellazione.
Poi la sveglia. Il rinculo che in effetti ti ha fatto crescere un po’ lussata regalandoti le occhiaie indistruttibili degli esseri notturni. Subisci così un patto col diavolo.
Ti sei destata dal torpore della tua età dell’oro ma in cambio hai ceduto per sempre il cinquanta percento del tuo sonno. Bell’affare passivo del cazzo. Che ritorna ogni volta che fai un contratto di lavoro ogni volta che voti una scheda politica o fai l’abbonamento della metropolitana.
E in quel modo passi cinque anni di ambientazione. E quando al tuo novecentesimo cioccolatino lindt ti consideri ormai integrata nell’intestino del tuo nuovo status contrattuale, muori una seconda volta.
Seconda sveglia.
Perdi i sensi per venti minuti i nervi deflagrano ti scende una lacrima rimani ovattata per un mese. Quello che si chiama esaurimento, seguito da un reboot atipico.
Un’altra percentuale da cedere.
[cut]
Il prezzo si fa indigeribile.
E ti trovi a vivere in mansarda, per distaccarti dal nucleo il più possibile.
Passano due anni, e sei sul tetto a fumare una Marlboro.
Gli fai spazio.
Arriva. Mi accende la sigaretta con l’alito.
Parliamo. Io non ho più voglia di perdere percentuali di esistenza per sveglie mentali che non fanno altro che rendermi il culo a forma di tegola, la mente aliena e nevrotica. Due sveglie sono un numero onesto e personalmente vorrei rallentare i tempi. Lui mi dice che non posso scegliere, e se io preferisca rinascere a ramalla. Poi mi guarda. Vede i miei capelli, assume l’espressione di chi ha appena creato un concetto che schematizza la vita nell’universo e il moto perpetuo e mi chiede: sei tutta rossa o…? Gli offro una sigaretta. Alla seconda boccata arriva al filtro e mi confessa. Che ha giù una cugina che mi assomiglia e che una terapia placebo c’è. Devo trovare un angelo. Che mi protegga dai suoi figli che girano per i bassifondi.
Ma io dove lo trovo un angelo.
Lo vedi, mi risponde. passare velocemente davanti a te. Non si ferma, perché ha altro da fare. Però prova ad invitarti nel suo cielo. Ci prova una volta sola, e poi se ne va. E se ne va a mettere la lingua in bocca a qualcun altro.
Passano cinque anni.
Vigilia della mia prima morte, febbraio 1993
Il ciliegio insieme al prato è estinto sotto immobili e famiglie con prole urlante.
Preannunciato da calo di peso manifesto, crampi artomuscolari e media di sonno ore numero 2 a notte, arriva e posa la natica destra sull’altra metà del tetto.
Ci risiamo, dice.
Sei pronta?
Terza sveglia.