Parcheggio di fianco a una twingo verde con i gerani sul sedile posteriore.
Una signora si infila elastica tra le due macchine con una lettiera nuova di pacca in mano. Dallo specchietto noto l’ingombro del culo. Accarezzo nervosamente il foglio di constatazione amichevole che ho nel cruscotto.
Quando apre la portiera padre pio mi passa la bic.
Sale. Avvia.
Non mette la retro.
urta il muro di fronte (80 cm). Mette la retro. Urta il panettone alle spalle (3 m). Ritorna alla posizione iniziale con precisione da geometra.
Sto proteggendo il lato destro del bmw col mio corpo quando lei esce.
chiama il posteggiatore “mi scusi, ma mi hanno praticamente recintato(pausa – mi guarda) la macchina” poi si gira ancora verso di me e aggiunge con gli occhi “e mio marito è avvocato”
Il custode con cartellino di riconoscimento “Benedetto – parcheggio” finisce di posizionare un autotreno in un posto bici e si precipita.
Porta la twingo a dieci metri dall’uscita, lasciandola in folle. “grazie signor benedetto”. mi lancia l’ultima occhiata manifestando che la legge è dalla sua.
Sbatte la portiera. Gratta. Avanza lentamente.
La macchina si spegne sotto il cartello PARCHEGGIO.
Abbassa il finestrino a manovella per 40 secondi, dimostrandoci l’intenzionalità degli eventi. Gnic.gnic.gnic.gnic.
Riavvia. Esce, disinvolta.
Io e benedetto parcheggio siamo abbracciati in piedi su uno sgabello.
Dopo un’ora sono sulla milano meda. CODA ferma e generica nell’unica corsia disponibile per lavori in corso, una processione di anabbaglianti senza fine.
Nella mia caritatevole pazienza comincio a raccogliere tutti i coni segnaletici e a radunarli nell’abitacolo.
a capo della colonna nell’unica corsia, seguita da sette chilometri di auto irritate, una twingo verde, a 17 km/h, procede godendosi il tramonto sulle colline al di là della strada davanti deserta, con i suoi venti punti di patente immacolati.